“Io cerco di dare un senso pieno alla vita, mia e degli altri” disse la donna con gli occhi puri e disperati, lo zaino ancora appoggiato alla panca di pietra sotto l’imponente cedro libanese, che torreggiava sui coppi del refettorio e riparava il lunghissimo tavolo di legno grezzo, dove era seduta di fianco all’anziano frate. “Ma ci sono tante voci dentro di me, e non so quale è la voce da ascoltare”.

Il frate le strizzò leggermente il naso con un sorriso, poi annuì serio e le disse, versando un altro bicchiere di acqua e vino rosso: “È l’unica che ti ama ma è impietosa quando inganni te stessa.” E la guardò attentamente portando le dita sotto il mento, mentre lei mangiava cercando di darsi un contegno e capire le sue parole.

Il frate continuò per darle tempo di rifocillarsi: “Tuttavia, non cerca di convincerti con la paura, ma fa appello alla parte più nobile, più consapevole di te”. E poi aggiunse pensieroso “se solo fosse più semplice distinguere le paure dell’anima da quelle dell’ego in questa epoca di materialismo….”

Una ruga le si incrinò sulla fronte sporca e sudata dalla camminata e rispose: “La paura è uno stato d’animo che viene e che va, non posso controllarlo, perché dipende anche da quello che fanno gli altri, se saranno gentili con me, o da madre natura, che potrebbe mandare un terremoto e porre fine alla mia vita prima che io sia riuscita a darle un senso!”.

“Mia amata anima, la paura non si può controllare, è vero. Eppure, pensa un attimo soltanto alla possibilità che tu abbia torto pur avendo detto una cosa vera. In altre parole, forse puoi scegliere”, disse il frate sgranando gli occhietti azzurri – con quei riccioli le sembrò un bimbo.

“Di non avere paure? Sì certo, per circa una settimana qui e là può funzionare, mi faccio coraggio davanti alle avversità, cerco di ridimensionarle analizzandole e comparandole con periodi molto più dolorosi, che alla fine anche loro sono passati… e vado avanti. A volte poi va veramente bene, non è che devo farmi coraggio tutti i giorni. Però poi torna irrimediabilmente quel senso di irrequietezza, che a volte si trasforma in angoscia, o pensieri neri e paura del futuro. A volte mi sento proprio perduta.”

“No, no, non ti stavo esortando a non provare paura. Quello che tu dici mi rattrista, ma mi riempie di gioia allo stesso tempo. È molto doloroso il tuo percorso, ma non deve essere per forza così. Dolore e paura sono sentimenti anche loro nobili e fanno parte del coro della vita. In un certo senso, sembra che anche gli altri regni naturali, animali e piante, prendano parte a questa danza.”

A quel punto il frate si mise a saltellare, o meglio, a danzare sotto al cedro del librano, i suoi sandali scalpicciando foglie secche di geranio e calendula, e la esortò, guardandola con occhi ferventi, dirigendosi poi alle nuvole, ai rami del cedro, ai fiori nei vasi del patio “Balla Grete, apri alla paura quando bussa alla tua porta, accetta la sua presenza, non succede nulla, anche se si trasforma in angoscia, fatti attraversare consapevolmente!

Al silenzio della donna, che lo guardava sbigottita, il frate si fermò, fece un sorriso divertito al cielo chiudendo le vecchie palpebre, e poi la guardò. “Che c’è? Bada che quello di cui ti sto parlando è un cammino lungo, impegnativo forse, ma bello. Per quanto riguarda le emozioni, è importante riconoscerle. I tuoi ospiti… sarà importante conoscerli abbastanza bene, no? Fai come faresti normalmente, apri la porta, li accogli, e poi li saluti. Nessun ospite viene mai a mani vuote. Prima che tu te ne accorga la sua ombra si sarà già dileguata. Da essa nascerà qualcosa di nuovo, forse di buono, a seconda di quanto sei stata capace di cogliere dell’insegnamento prezioso di quella paura, o di quella angoscia. Fino alla prossima paura, ovviamente, dal momento che la vita è ciclica, e bisogna ricominciare”.

“Da capo…?”

“Beh” sussurrò il frate, volgendo lo sguardo brevemente alla sua destra per poi riportarlo fisso nelle pupille di lei “diciamo che è il movimento a spirale che ci fa vivere in armonia, non il movimento lineare. Dunque tecnicamente “da capo” non significa nulla. Non sei mai uguale a te stesso, e hai infinite possibilità di rimetterti in gioco.”

Il frate non ballava più ora, la guardava con sguardo dolce, diretto, voleva capire se le sue parole erano state chiare.

La donna si rivolse pensosa verso la valle, ponderando le parole del frate pur non avendoci capito nulla, quando l’asino ragliò potente, più e più volte, riecheggiando tra le montagne e facendo vibrare il mondo. Una risata fresca e sincera solleticò il cuore della donna, che si levò improvvisamente in alto, più su più su, il petto, gli occhi, le braccia, e di slancio si buttò sul covone di paglia scalciando via i sandali sudati. Il frate comprese che le sue parole avevano colpito nel segno. E pietoso aggiunse: “E la morte, soprattutto la morte è componente divina! Cara, benedetta morte! Come nel paleolitico, e anche nell’eta del Bronzo eh? Gente sveglia, dai retta a me. Il potere rigenerante della morte, il bisogno di negazione della vita per affermare la vita, lo stesso valore dato alla vita e alla morte. Nessuna delle due osannata rispetto all’altra, senza sentimentalismi. E poi lo sente il mio cuore: l’inverno dell’anima è amato e rispettato dalla divinità, è necessario per l’armonia divina, a patto che l’anima lo riconosca, e sappia fare quello che c’è da fare.”

Disse lei, ma il suo viso rideva e il suo cuore ancora cantava: “Io mi stendo finalmente serena, e tu mi parli di morte? Aspetta che io mi faccia almeno la doccia, oltre alle angosce ora non farmi andare.” Si alzò sui gomiti e lo guardò, ma poi si rivolse al sole, e chiuse gli occhi. Il frate decise che era proprio il momento giusto: “È proprio nei momenti in cui senti che la vita ti riempie e ti solleva il cuore che si sta rendendo omaggio a Madama Morte, che tu ne sia consapevole o meno. Io credo che la consapevolezza porti pace. La morte è la nostra grande alleata, e così l’inverno, dell’anima e della natura. La polarità è onnipresente sulla terra e nella nostra anima. Non bisogna combatterla se si vuole creare armonia, ma accettarla, riconoscerla e usare i suoi doni, che sono, in definitiva, l’unità. La polarità dà il ritmo per la vita, ma la verità, è che sono due facce della stessa medaglia”.

“Dopo la doccia mi piacerebbe parlare di come riconoscere e selezionare i doni, perché mi viene particolarmente arduo”.

“Perché pensi che per me sia più semplice che per te? Non è detto” rispose il vecchio frate. Poi però continuò, sedendosi al tavolo e tirandosi su le maniche della tunica: “Prima di tutto, coltivando morbidezza e passività, che in questa società sono così osteggiati e derisi. La sfida è coltivare una passività vigile, il modello ameba non è quello che intendo, alternandola con altri stati, per esempio di crescita.”

La giovane era tornata con lo sguardo fisso su di lui, e lentamente si era seduta con la schiena sorretta dalla paglia scaldata dal pomeriggio di sole estivo. Il vecchio fece due passi verso di lei, poi si fermò, chiuse gli occhi e ascoltò il canto delle rondini al tramonto per un lungo momento. Presto sarebbe risuonata la campana della Romita, ma al di là della fauna, nessuno l’avrebbe sentita su quelle montagne, o forse sì.

“Mia giovane amica, hai camminato molto, sarai stanca. Momenti di stanchezza sono più che normali! Sono la regola. Non trovi anche tu che la vita sia una fisarmonica? Come il respiro, si stringe e si espande, muore e si rigenera. Quando si è stanchi, bisogna riposare. L’armonia, o la voce di Dio, passano anche attraverso un pisolino.”